16.10.09

Why don't you slide?

A volte me lo chiedo.
In serate come queste, nelle quali l'acqua prova a lavar via ogni peccato dall'immonda faccia della terra, anche io mi tuffo lì, sotto le lacrime dell'aldilà, a soddisfare quel bisogno tutto terreno di mondarmi, e ad affogare nella sensazione che l'acqua tutto possa lavare.
Cerco un attimo di pace, cerco di non pensare, ma un accordo in mi minore è a volte più penetrante di ogni ragionamento, di ogni convinzione, ti entra nella testa ricordandoti che tu non potrai mai cambiare il mondo.
Ed allora che se ne vada a fare nel culo tutto, tanto alla fine l'acqua lava tutto.
Il problema, reale e sentito, è che purtroppo l'acqua non lava via un accidente.. Al massimo risciacqua, sbiadisce, ma la matrice profonda del problema, il nocciolo della questione, la macchia vera e propria insomma, per quanto sbiadita non andrà mai via da quel tuo piccolo tappetino che tanto ami.
Ti danni con te stesso, hai o ti hanno rovinato il tuo tappetino più bello, oppure uno al quale tenevi particolarmente, non importa, il punto non è il tappetino.
Il punto, alla fine dei conti, è la macchia.

18.7.09

L’eco del corpo - Gherasim Luca

Prestami le tue cervella
cedimi il tuo cervello
la cediglia della tua certezza
questa ciliegia
cedimi questa ciliegia
o un’altra all’incirca
accerchiami nelle tue occhiaie
precipitati
nel centro del mio essere
diventa il cerchio di questo centro
il triangolo di questo cerchio
la quadratura delle mie unghie
diventa questo o quello o quasi
un altro
ma seguimi precedimi
seduzione

tra la notte del tuo nudo e il giorno delle tue guance
tra la vita del tuo viso e la provocazione dei tuoi piedi
tra il tempo delle tue tempie e lo spazio del tuo spirito
tra la fronda della tua fronte e le pietre delle tue palpebre
tra il basso delle tue braccia e l’osanna delle tue ossa
tra il do del tuo dorso e il la della tua lingua
tra i raggi della tua retina e il riso della tua iride
tra il tè della tua testa e i vetri delle tue vertebre
tra il vento del tuo ventre e le nuvole del tuo nudo
tra il nudo della tua nuca e la vista della tua vulva
tra la scia delle tue ciglia e la foresta delle tue dita
tra la punta delle tue dita e la punta della tua bocca
tra il peduncolo dei tuoi peli e la pece del tuo petto
tra il punto dei tuoi pugni e la linea dei tuoi legamenti
tra gli spazi delle tue spalle e il sud–est del tuo sudore
tra la gola dei tuoi gomiti e il cucù del tuo collo
tra il naso dei tuoi nervi e la naiade delle tue natiche
tra l’aria delle tua carne e la lama della tua anima
tra la pioggia della tua pelle e l’orcio delle tue ossa
tra la terra delle tue arterie e il fuoco del tuo fiato
tra il segno dei tuoi seni e i seni delle tue mani
tra le città della tua caviglia e la navicella delle tue ascelle
tra la sorgente delle tue sopracciglia e il progetto del tuo petto
tra il muschio dei tuoi muscoli e il nardo delle tue narici
tra la musa dei tuoi muscoli e la medusa del tuo medio
tra il mantello del tuo mento e la tulle della tua rotula
tra lo stagno del tuo tallone e il tono del tuo mento
tra lo sguardo della tua statura e le strette del tuo sangue
tra la polpa della tua pupilla e l’orto delle tue occhiaie
tra le pieghe dei tuoi piedi e il cervelletto del tuo cervello
tra il letto dei tuoi lobi e la custodia del tuo capo
tra il levriere delle tue labbra e il peso dei tuoi polsi
tra le frontiere della tua fronte e il visto del tuo viso
tra il polso dei tuoi polmoni e il polso del tuo pollice
tra la polpa dei tuoi polpacci e il piatto del tuo palmo
tra i pomi dei tuoi pomelli e il piano delle tue scapole
tra le piante delle tue piante e il palazzo del tuo palato
tra le ruote delle tue gote e i lombi delle tue gambe
tra il me della tua voce e la seta delle tue dita
tra l’ ardore delle tue anche e l’alone del tuo alito
tra l’inimicizia del tuo inguine e le cavità delle tue vene
tra le cosce delle tue carezze e l’odore del tuo cuore
tra il genio delle tue ginocchia e il nome del numero
dell’ombelico della tua ombra

(Héros-Limite, Le Soleil Noir, Paris 1953)

2.5.09

Una moto, capelli al vento..

Frank camminava a testa alta.
Era tanto che non lo faceva, ma finalmente poteva sentire il vento passare attraverso i suoi capelli ormai bicolore, più che brizzolati, ma liberi al vento, ai clacson, ai semafori ed alle cacche dei piccioni che puntualmente bersagliavano il suo giubbotto.
Oggi, però, era un'altro giorno: non sapeva perchè, ma una canzone di Vasco Rossi, che lo riportava alla sua giovinezza (i cui ricordi di droghe ed alcool mal si conciliano al Frank White che ogni mattina andava a lavorare nel suo studio di assicurazioni di Park Avenue), era uscita prepotentemente dalla radio ed aveva invaso tutta la casa, con quel suo riff insistente di chitarra e quelle parole, ripetutamente urlate, che suonavano come un monito, un ricordo, un promemoria messo lì per farti accorgere di quanto la tua vita fosse diventata piatta.
"Fantasie, fantasie che volano libereee.. Favole, fa fa favoleee". Quelle parole, nella loro semplicità, suonavano gravi come un comando, un'esortazione a fare qualcosa: il suo Monster 600 mal si addiceva al vestito gessato blu che indossava, ma alla fine la tentazione, le parole "fantasia" e "favole" ed un timido sole convinsero Frank ad andare al lavoro con la moto. Il casco, nonostante non fosse più ragazzino, lo teneva sottobraccio, per evitare di rovinare l'equilibrio e lo stato di osmosi ambientale che i suoi pochi e delicatissimi capelli avevano trovato con l'atmosfera circostante.
Dopo le prime due accellerazioni, si sentì finalmente libero: ma di cosa, di arrivare in ufficio prima del solito oppure libero di avere la possibilità di scegliere da se la propria vita?
Non lo sapeva, e non gli interessava.
Il vento nei capelli, radi e delicati, gli bastava. I neozelandesi in consiglio di amministrazione avrebbero capito.

12.4.09

Branca Day

Ci sono determinate canzoni che, nel momento in cui le senti, fanno sì che quel ghigno malefico che fai quando pensi ai bei giorni andati e spensierati della tarda adolescenza esca fuori.
"Branca day", dei Derozer, è una di quelle. Ora, non voglio scrivere nulla di più di quello che sento, ovvero una piacevole sensazione di leggerezza. La chitarra (che mentre tutti ti chiedono la tarantella, tu hai solo in mente il punk demenziale..), i viaggi ed i giri con gli amici, i primi scazzi, la spensieratezza di un periodo che ti fa vivere tutto alla velocità della luce, senza il benchè minimo pensiero a quello che stai facendo. Un'inno alla gioia, al corpo vivo, alla felicità che ti prende tra brufoli e birre con gli amici.
Niente di più e niente di meno. Essere leggeri, quanto pagherei per esserlo di nuovo.
Intendiamoci, da grandi si sta una palata, soprattutto se si ha la fortuna di avere al fianco le persone giuste: amore, amici e tutto il resto, la vita è bellissima così com'è.
"Sono quello che sono per le esperienze vissute", bla bla bla, e tutta la retorica da pseudo adulto che ti viene con la barba dura, però, non mi piace affatto.
E' vero, le mie esperienze mi hanno reso più maturo, ma è un passaggio fisiologico che tutti hanno affrontato prima di me, e che tutti affronteranno.
Però, questa sera, lasciatemi la mia "serata-nostalgia":
Basket Case - Green Day
The kids aren't alright - Offsprings (ma tutto il cd "Americana" va bene)
Voglio armarmi - Punkreas
What's my age again - Blink 182 (con corredato il sogno di girare nudi ad una festa)
Rollin' - Limp Bizkit
Papercut - Linkin Park
Lithium - Nirvana
Toxicity - System of a down
gli articolo 31 (prima delle puttanate moderne di adesso, quelli della Spaghetti Funk, tipo "La fidanzata", avete presente??? quelli che volevano una lurida...)

Questa è la playlist della mia "serata nostalgia", vi consiglio questa serie di canzoni e quelle che mancano a voi...
Frà (proprio Frà, non gioffo, frà..)

3.4.09

Stecco (storia di un Cremino)

Avevo un amico, una volta, si chiamava Cremino.
Se ne andava in giro a Leccornia, tutto abbronzato, a farsi beffe degli amici nel suo vestito buono color cioccolato. Ricordo che, quando eravamo bambini, passava da sotto casa mia, gettava un urlo e mi chiamava, per dirmi di scendere, di andare a giocare a palla con gli amici.
Era dolce, molto dolce; un cuore puro, immacolato, candido, che ti veniva voglia di stare con lui in qualsiasi momento dell'anno, uno svago che durava pochi minuti ma che ti risollevava dalle fatiche di una giornata.
Lo ricordo, quell'anno, a Leccornia: forse anche tu, ricorderai quel caldo torrido, afoso, che toglieva l'aria dalla gola e che ha fatto preoccupare le tv, i telegiornali, le radio, le nonne, le mamme ed i papà. Quell'anno Cremino soffrì tanto il caldo, non usciva mai di casa, e quando lo faceva era solo per rilassarsi e trovare un po' di tregua sotto l'ombra di qualche fitto albero.
Sudava, sudava tanto il povero Cremino, e le gocce di sudore scendevano copiose e vistose sul suo vestito color dell'ebano, che diventava sempre più sottile: tutti dicevano che stava male, il mio povero amico Cremino, ma io non volevo crederci, eravamo così felici pochi giorni prima. Il suo cuore dolce e puro, però, ogni volta che mi vedeva mi rassicurava: "Stai tranquillo, sto bene, passerà tutto..."
Quell'estate, però, sembrava non volesse più finire: in paese Cremino non si vide per un bel po', mentre tutti si chiedevano che fine avesse fatto, lui ed il suo cuore candido.
Quando riapparve, il mio povero amico era irriconoscibile; secco come uno stecco, senza più il suo vestito color cacao, gli occhi incavati e spenti, taciturno e svestito d'ogni possibile riflesso di vita.
Tante furono le ipotesi avanzate, ma resta il fatto che da quel giorno non si riprese più: il paese lo abbandonò e lo isolò, lo considerò posseduto, un pazzo che girava triste e solitario per le strade di Leccornia.
I bambini gli affibbiarono il nome di Stecco, e lo schernivano ogni volta che era alla loro portata. Da piccoli i bambini sono perfidi, si sa, e Stecco non faceva nulla per far cambiare loro parere. Così, un bel giorno, Cremino (o Stecco, l'alter ego dei giorni tristi) non si vide più: due gemelli, Mario & Matteo, che per comodità tutti chiamavano M&M's, videro due energumeni portarlo con loro. Da allora non vedo più Cremino, e mi manca tanto, e nelle serate come questa, quando il caldo s'insidia nei letti da disfare, vorrei ci fosse con me, per salutare lui e quello che di lui, ogni volta, restava, il suo amico Stecco.

16.2.09

I don't care

ed adesso come si fa?
Claustrofobia, agorafobia, paura..