2.5.09

Una moto, capelli al vento..

Frank camminava a testa alta.
Era tanto che non lo faceva, ma finalmente poteva sentire il vento passare attraverso i suoi capelli ormai bicolore, più che brizzolati, ma liberi al vento, ai clacson, ai semafori ed alle cacche dei piccioni che puntualmente bersagliavano il suo giubbotto.
Oggi, però, era un'altro giorno: non sapeva perchè, ma una canzone di Vasco Rossi, che lo riportava alla sua giovinezza (i cui ricordi di droghe ed alcool mal si conciliano al Frank White che ogni mattina andava a lavorare nel suo studio di assicurazioni di Park Avenue), era uscita prepotentemente dalla radio ed aveva invaso tutta la casa, con quel suo riff insistente di chitarra e quelle parole, ripetutamente urlate, che suonavano come un monito, un ricordo, un promemoria messo lì per farti accorgere di quanto la tua vita fosse diventata piatta.
"Fantasie, fantasie che volano libereee.. Favole, fa fa favoleee". Quelle parole, nella loro semplicità, suonavano gravi come un comando, un'esortazione a fare qualcosa: il suo Monster 600 mal si addiceva al vestito gessato blu che indossava, ma alla fine la tentazione, le parole "fantasia" e "favole" ed un timido sole convinsero Frank ad andare al lavoro con la moto. Il casco, nonostante non fosse più ragazzino, lo teneva sottobraccio, per evitare di rovinare l'equilibrio e lo stato di osmosi ambientale che i suoi pochi e delicatissimi capelli avevano trovato con l'atmosfera circostante.
Dopo le prime due accellerazioni, si sentì finalmente libero: ma di cosa, di arrivare in ufficio prima del solito oppure libero di avere la possibilità di scegliere da se la propria vita?
Non lo sapeva, e non gli interessava.
Il vento nei capelli, radi e delicati, gli bastava. I neozelandesi in consiglio di amministrazione avrebbero capito.

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