30.12.07

Antoniano's song

"Anche io avrei voluto cantare nel coro dell'Antoniano, cosa ci sarebbe stato di male? Certo, a quell'epoca mi mancavano alcune delle fondamentali credenziali che mi avrebbero permesso di partecipare allo Zecchino d'Oro:
1) Non ero uno di quei bambini bellissimi che Toscani avrebbe fotografato per usarli nelle campagne Benetton, lo schermo avrei potuto letteralmente bucarlo. Avevo dei dentini in meno, ma quelli rimasti erano di un colore a metà tra il giallo ed il nero petrolio, e nessun colluttorio consigliato da nessun buon dentista avrebbe potuto contrastare degnamente la quantità di zucchero che ingurgitavo ed i danni che facevano.
2) Non ero abbastanza possidente da potermi permettere una enciclopedia completa di tutti gli optional e gli aggiornamento e gli atlanti e le illustrazioni dipinte a mano, passo fondamentale per poter accedere almeno alle selezioni. C'era sempre il commerciale bastardo che ti diceva: L'audizione è tra tre settimane, ma è subordinata all'acquisto della "Enciclopedia Grolier 1988".
3) Non credevo che il Mago Zurlì potesse essere la panacea di tutti i mali del mondo. Mi era sempre stato antipatico e, osservazione forse un po' troppo acuta per l'età raggiunta, non smettevo di chiedermi e di chiedere al mondo intorno a me perchè quell'uomo anziano e con i capelli grigi doveva andare in giro con una calzamaglia bianca e turchese oscenamente stretta su un pacco che si era ritirato in pensione da almeno dieci anni.

Però, avevo una qualità fondamentale, che mi faceva sentire tronfio e sicuro dei miei mezzi.
Sapevo cantare. Non quel biascichio stridulo e fastidioso delle voci bianche italiche, avevo una voce ferma ed impostata, controllata dal primo gorgheggio all'ultimo acuto. Mi notarono subito, e siccome a fare le selezioni insieme a me c'era il figlio di un uomo illustre, mi fecero sparire dicendomi che i casting erano aperti solo a bambini biondi, con gli occhi azzurri ed un caschetto alla Fantaghirò, frega un cazzo sei sai cantare, dicevano quelli.

Purtroppo, ora, far cantare la gente è il mio lavoro.
Non sono un produttore, non sono un discografico e nemmeno un talent scout. Sono un commissario capo della Polizia di Stato di Lecce: sto per iniziare un interrogatorio, l'ennesimo.
Oggi, però, l'imputato è diverso.
Le iniziali sono V.P., ha una quarantina d'anni e lo sguardo triste di chi ha dovuto confrontarsi tutta la vita con una eredità più grande di se, che ha finito per mangiarla e rovinarle la vita. Semplicemente, non ha saputo reggere la pressione. E la sua vita ora è andata, nel senso più letterale del termine, a puttane.
Avrei dovuto cantarla io, quella canzone. "Volevo un gatto nero", era perfetta per la mia voce, nessuno poteva interpretarla meglio di me, far commuovere l'Italia intera. Ma l'ha cantata lei, al posto mio.
Spero, per lei, che canti anche adesso.
Io entrerò lì dentro, con un sorriso beffardo e strafottente, che nessuno a parte me capirà.

La morale della storia, se davvero possiamo definirla così, è questa: Nella vita, non puoi avere sempre quello che vuoi. Se si fosse accontentata del gatto bianco, tutto questo non sarebbe successo. Invece no, lei lo voleva nero. Nero come il buio della sua cella, nero come l'abisso nel quale ha costretto le donne che faceva prostituire.
"Commissario, siamo pronti, la stiamo aspettando.."
"La ringrazio, ispettore, arrivo subito"

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