Benvenuti in Calabria, terra di odori, sapori e colori. La realtà, però, è un'altra.
L'odore tanto reclamizzato è il tanfo emanato dai nostri depuratori, dal nostro mare da bere (in caso volessimo tentare il suicidio); è l'odore dell'amianto di Santa Caterina Albanese, che continua ad uccidere senza che nessuno faccia niente; è l'odore della nostra vergogna, della vergogna di umiliarsi giornalmente, andando a chiedere un lavoro da schifo al consigliere onorevole di turno; è l'odore che sale dalle gonne e dai vestiti, di gente che non ha più nulla di cui sorridere, ma ai quali togliere anche il sorriso sarebbe davvero impossibile.
I sapori, invece, sono quelli di cedri, mandarini, gelsomini, peperoncini, e di tutto quanto fa bella figura in tg e programmi di gastronomia. Il sapore della Calabria è quello della merda in bocca, ingoiata ogni giorno in quantità industriali per fare buon viso a cattivo gioco; non abbiamo cedri da esportare, non abbiamo più peperoncini, pasta e dolore per tutti, altrimenti non riusciamo a pagare la paghetta mensile da corrispondere ai nostri padri padroni e criminali.
I colori della Calabria sono tanti, troppo, e troppo pochi. Sono il nero, scuro come la cronaca, scuro come le gonne delle vedove di mafia, nero come le pistole che uccidono e che gambizzano, nero come un'appartenenza politica ed ideale sempre più collusa con chi le leggi le evita, creandosene apposite. Il verde dei monti, della Sila, dell'Aspromonte e del Pollino, diventa il verde dei lavoratori, senza un euro e senza un diritto da rivendicare.
Eppure, questa terra martortiata risorgerà, dalle sue ceneri, come un tizzone mal spento che continua con forza ad andare avanti. La caparbia dei calabresi è quel pezzo di legno, quel rosso vivo che ad ogni alito di vento prende vita e colore, rigenerandosi dalle sue ceneri.
Per tutti gli odori, i colori ed i sapori che entreranno nel nostro sogno, questi possiamo rassicurarli. Nessuno potrà mai toglierci la nostra licenza di sognare, la nostra licenza di vivere.
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