Una rosa rossa su lenzuola nere.
Materasso matrimoniale, con corredo di seta moderno a completare il panorama.
Dentro uno straccio di uomo che all'anagrafe si chiama Franklin Robert White, ma che gli amici, o i presunti tali, hanno sempre chiamato Frank.
La scena si svolge così: la telecamera in piano medio inquadra tutta la stanza, stringendo piano piano sul braccio di Frank, che ha un grosso taglio.
Al suo fianco, una rosa rossa ed un biglietto chiuso in maniera molto approssimativa con queste poche parole, sopra, che la camera inquadrerà fino a scendere nel dettaglio: "Scusami, ma ti rovinerei solamente la vita.. vado a Genova, non cercarmi..tua, Billie".
Ignaro di tutto, Frank dorme pesantemente.
La camera gira, scende il dettaglio sulla rosa: non è rossa, ma bianca, il colore è dato dal sangue di Frank sceso sui petali del fiore.
Ora, mentre la scena si svolge sulle note di "Zeta reticoli" dei Meganoidi, la camera inquadra uno specchio che riflette l'immagine di Frank, riverso sul letto, mentre l'inquadratura si sposta sul letto, stringendo sulla rosa.
Cola una goccia di sangue, la rosa piange..
Dissolvenza in uscita, il volume della musica cresce a dismisura.
Stop.
Va bene? No, ragazzi, la rifacciamo.. Quest'uomo sta soffrendo, e questa è tutto il sentimento che traspare da voi?
Il cinema è un'arte falsa. Suscita in noi dei sentimenti, ma l'attore non li prova, anzi viene pagato per prenderti in giro, e meglio sa farsi beffe di te e più viene pagato.
Ma questa, è un'altra storia..
8.12.08
7.12.08
Life is no cabaret
"La vita, lor signori, non è un cabaret", cantava la voce aspra e al contempo così profonda di Amanda Palmer, cantante dei Dresden Dolls. La serata è filata via come un piccolo show, nel quale tu sei al centro della scena ma vedi tutti sfilarti, lentamente ed impassibilmente, al fianco. Non puoi fermarli, li vedi ma non arrivi a toccarli, ti limiti ad attraversare la loro aura, a sfiorare la loro essenza mentre ti passano accanto, presi solo dalla cassa rullante che pompa dagli amplificatori.
Tu non riesci proprio a sentirla, quella musica, nelle tue orecchie il miglior Jeff Buckley di sempre arpeggia gentilmente la chitarra lanciando il suo "alleluyah" al mondo intero, e ti senti sempre più catapultato in un altro mondo, un'altra dimensione, che di certo non ti vede iscritto al registro anagrafe, un posto dove andare in vacanza vuol dire sdraiarsi a riflettere, e dove dalle cascate del Niagara scendono giù a fiotti fiumi di ipocrisie, che espiano le proprie colpe per poi ritornare nel mare, purificate completamente dal loro carico di barbarie e peccati atavici.
Scoli un'altra birra, un altro cocktail, cerchi di arrivare ad un punto in cui il tuo cervello non risponde più ai comandi ed ai dettami di un'anima che vorrebbe prendere l'A3 e fuggire via, andare non dove il cuore ti porta, ma dove il tuo cuore realmente è.
Che cazzo ci fai ancora lì? Fuggi via, questo posto è tutto quello che hai sempre rifuggito, non è nient'altro che "babylon".
Cos'è Babylon? Babylon è la civiltà, lo sfruttamento, l'imposizione autoritaria di un sistema sociaetario che riesce a sopraffare ogni tua volontà.
Tu cerchi il tuo "Ras Tafari", il tuo paradiso regnato dal Negus che non muore mai, il regno della pace all'interno del quale Haile Selassie è il tuo cuore, lontano chilometri da qui..
Cerchi una strada, un'altra boccata ancora, mentre la carta si consuma al vento con il suo sapore dolciastro.. Babylon, go away, let me stay in my rastafari paradise..
"Poche ore ancora, Billie, Frank sta tornando.."
Tu non riesci proprio a sentirla, quella musica, nelle tue orecchie il miglior Jeff Buckley di sempre arpeggia gentilmente la chitarra lanciando il suo "alleluyah" al mondo intero, e ti senti sempre più catapultato in un altro mondo, un'altra dimensione, che di certo non ti vede iscritto al registro anagrafe, un posto dove andare in vacanza vuol dire sdraiarsi a riflettere, e dove dalle cascate del Niagara scendono giù a fiotti fiumi di ipocrisie, che espiano le proprie colpe per poi ritornare nel mare, purificate completamente dal loro carico di barbarie e peccati atavici.
Scoli un'altra birra, un altro cocktail, cerchi di arrivare ad un punto in cui il tuo cervello non risponde più ai comandi ed ai dettami di un'anima che vorrebbe prendere l'A3 e fuggire via, andare non dove il cuore ti porta, ma dove il tuo cuore realmente è.
Che cazzo ci fai ancora lì? Fuggi via, questo posto è tutto quello che hai sempre rifuggito, non è nient'altro che "babylon".
Cos'è Babylon? Babylon è la civiltà, lo sfruttamento, l'imposizione autoritaria di un sistema sociaetario che riesce a sopraffare ogni tua volontà.
Tu cerchi il tuo "Ras Tafari", il tuo paradiso regnato dal Negus che non muore mai, il regno della pace all'interno del quale Haile Selassie è il tuo cuore, lontano chilometri da qui..
Cerchi una strada, un'altra boccata ancora, mentre la carta si consuma al vento con il suo sapore dolciastro.. Babylon, go away, let me stay in my rastafari paradise..
"Poche ore ancora, Billie, Frank sta tornando.."
5.12.08
Non è niente..
L'aria umida e fredda di quei giorni di dicembre entrava nelle case, negli uffici, passava attraverso sciarpe dalle maglie troppo larghe ed impermeabili anonimi, che coprivano giacche e gilet di aspiranti colletti bianchi.
Milano in quei giorni era così, autunno ed inverno insieme, colore e nostalgia, sole e bruma, con la forza devastante di un fiume in piena, che sbatte incessantemente contro un muro destinato a non crollare mai. Un taxi passò davanti a Frank White proprio lì, predendo in pieno quella maledetta pozzanghera a pochi centrimetri da quella figura un pò esile, che adesso appariva ancora più teatrale nel suo disumano grigiore.
Frank sospirò, l'ennesimo sospiro di una vita ormai passata nella rassegnazione più estrema: da quanto tempo non prendeva una decisione? Da quanto tempo non si guardava allo specchio, senza sentire la vergogna che nasceva dal dover affrontare i suoi stessi occhi..
Entrò in un bar squallido, se possibile più anonimo di lui, chiedendo un caffè macchiato ad un commesso che, pezza in mano, asciugava delle tazzine alla bell'e meglio, poi passava la pezza sul bancone, palesando agli occhi di Frank quanto del lerciume presente sullo straccio avrebbe bevuto tra pochi secondi.
"Il suo caffè", disse il minuto uomo dietro al bancone, mentre dalla strada, lì fuori, saliva un brusio indistinto, un vociare di donne e ragazzini e uomini e vecchi che chiedevano aiuto. Senza mollare la tazzina appena presa in mano, Frank posò il suo impermeabile su uno sgabello e si portò vicino all'entrata del bar, giusto il tempo necessario per guardare fuori ed accontentare la sua curiosità morbosa; non capiva, dove e da cosa stesse correndo la gente, lì fuori. Improvvisamente, un boato, poi solo fumo nero in mezzo alle auto ed ai palazzi di quella zona residenziale milanese: una bomba, due, un'auto scoppiata, cosa? Cosa stava succedendo? Frank si rialzò in fretta scrollandosi di dosso i vetri della porta d'ingresso del locale, e si trovò davanti lei, Billie, splendida come non mai..
"Non è niente", gli ripeteva, "stai tranquillo, Frank, non è niente". Erano passati due lunghissimi anni da quando se n'era andata, facendo perdere completamente le sue tracce. "Frank, non è niente, ma ora andiamo.."
Frank, come in trance, non disse una parola e la seguì. Guardò l'orologio, erano le 16 e 37 del 12 dicembre, anno di dio 1969.
Billie era appena tornata; dopo averla cercata per giorni, mesi ed anni, Frank non l'avrebbe più dimenticato, quell'incontro invernale in Piazza Fontana.
Milano in quei giorni era così, autunno ed inverno insieme, colore e nostalgia, sole e bruma, con la forza devastante di un fiume in piena, che sbatte incessantemente contro un muro destinato a non crollare mai. Un taxi passò davanti a Frank White proprio lì, predendo in pieno quella maledetta pozzanghera a pochi centrimetri da quella figura un pò esile, che adesso appariva ancora più teatrale nel suo disumano grigiore.
Frank sospirò, l'ennesimo sospiro di una vita ormai passata nella rassegnazione più estrema: da quanto tempo non prendeva una decisione? Da quanto tempo non si guardava allo specchio, senza sentire la vergogna che nasceva dal dover affrontare i suoi stessi occhi..
Entrò in un bar squallido, se possibile più anonimo di lui, chiedendo un caffè macchiato ad un commesso che, pezza in mano, asciugava delle tazzine alla bell'e meglio, poi passava la pezza sul bancone, palesando agli occhi di Frank quanto del lerciume presente sullo straccio avrebbe bevuto tra pochi secondi.
"Il suo caffè", disse il minuto uomo dietro al bancone, mentre dalla strada, lì fuori, saliva un brusio indistinto, un vociare di donne e ragazzini e uomini e vecchi che chiedevano aiuto. Senza mollare la tazzina appena presa in mano, Frank posò il suo impermeabile su uno sgabello e si portò vicino all'entrata del bar, giusto il tempo necessario per guardare fuori ed accontentare la sua curiosità morbosa; non capiva, dove e da cosa stesse correndo la gente, lì fuori. Improvvisamente, un boato, poi solo fumo nero in mezzo alle auto ed ai palazzi di quella zona residenziale milanese: una bomba, due, un'auto scoppiata, cosa? Cosa stava succedendo? Frank si rialzò in fretta scrollandosi di dosso i vetri della porta d'ingresso del locale, e si trovò davanti lei, Billie, splendida come non mai..
"Non è niente", gli ripeteva, "stai tranquillo, Frank, non è niente". Erano passati due lunghissimi anni da quando se n'era andata, facendo perdere completamente le sue tracce. "Frank, non è niente, ma ora andiamo.."
Frank, come in trance, non disse una parola e la seguì. Guardò l'orologio, erano le 16 e 37 del 12 dicembre, anno di dio 1969.
Billie era appena tornata; dopo averla cercata per giorni, mesi ed anni, Frank non l'avrebbe più dimenticato, quell'incontro invernale in Piazza Fontana.
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